1/6000- UNO SU SEIMILA
uno spettacolo di Marco Bianchini
luci Fabio Bonfanti suoni Gabriele Porqueddu/Maurizio Misiano
progetto scenografico Marzia Barberato
SOGGETTO
Villaverla, comune di circa seimila abitanti del distretto n. 8: Alto Vicentino. Tra gli abitanti del paese ce n’è uno che ad un certo punto si rende conto che ci sono diverse cose in lui che lo rendono “particolare” rispetto a tutti gli altri. Le possibilità sono due, scappare via, oppure trovare il modo di adattarsi. Quando ancora non hai raggiunto l’età per andartene di casa la scelta è obbligata. Ma fino a che punto si può cambiare sé stessi? E che succede quando si decide di smettere di adattarsi? 1 su 6000 è una mirabolante parabola drammaturgica che nasce da una rielaborazione di ricordi ed esperienze personali per toccare una varietà di temi e situazioni mai vista prima: dalla nascita dell’ultimo libro che ha rivoluzionato il pensiero umano, all’invenzione di sofisticatissime strategie di sopravvivenza al bullismo, da nozioni sull’Alto Vicentino ignorate persino dai suoi abitanti, a retroscena inaspettati su cartoni animati d’antan. E ancora, magie inutili, una suora, numerosi gattini. Oltre a tantissima musica di ottima qualità.
NOTE DI REGIA
Perchè nel 2021 l’omosessualità è ancora un problema per tantissime persone e in tantissime parti del mondo? Com’è possibile che non si riesca ancora a comprendere che non si può essere colpevoli per qualcosa che non si vuole o si sceglie di essere, ma che semplicemente si è?
Questo lavoro nasce dall’esigenza personale di affrontare questa questione e di provare a dare, se non una riposta, una visione complementare.
Ho voluto raccontare il senso di scollamento tra la propria identità e l’immagine che si sente di dover mostrare all’esterno – la sensazione di non sentirsi “a posto” sia dentro di sé che rispetto al proprio ambiente – a partire dal mio vissuto personale, andando a ripescare episodi della mia infanzia e adolescenza nel profondo della provincia veneta e cercando la maniera di portarli in scena senza scivolare nell’autocommiserazione e nel ripiegamento in me stesso, ma cercando di mantenere un registro in bilico tra ironia e dramma.
Ho provato ad immaginare un mondo in cui questo problema non esista più, per poi mettere il pubblico di fronte all’assurdità della realtà dei fatti. Nello spettacolo ipotizzo una realtà alternativa in cui la questione del “chi va con chi” sia ormai superata. Immagino che per dimostrare l’enormità del cambiamento ad un pubblico, sia necessario fare un passo indietro, far vedere com’era il mondo prima, e per farlo scelgo di concentrare l’attenzione su un’area geografica estremamente circoscritta, l’Alto Vicentino, appunto.
Segue una serie di quadri tematici in cui si delinea il contesto dell’alto vicentino, un dialogo in dialetto tra due adolescenti, il racconto in prima persona dei primi turbamenti sessuali, il momento in cui ci si rende conto di essere considerati strani dai compagni di giochi, l’abbandono della realtà del paese per il nuovo ambiente della città e la presa di coscienza del fatto che cambiando luogo lasci i problemi di prima ma ne trovi degli altri. A corollario, una digressione su “Il Grande Sogno di Maya”, cartone animato e fumetto giapponese di metà anni Ottanta che racconta le peripezie di una giovane attrice. E’ una parentesi a prima vista totalmente fuori contesto, ma
la cui utilità si svelerà nel prosieguo dello spettacolo. Sarà infatti proprio ispirandosi a Maya, la talentuosissima giovane attrice del cartone animato, che il giovane vicentino riuscirà ad elaborare il suo metodo di adattamento. Che continuerà ad utilizzare, almeno fino al giorno in cui non ci sarà più bisogno di averne uno.
DRAMMATURGIA
Credo che la musica per molti versi possa essere più efficace del teatro, possa essere un linguaggio più diretto, immediato, che arriva prima laddove con le parole si fa molta più fatica. In particolare faccio riferimento ad un certo tipo di cantautorato intimista, (Tori Amos, John Grant, soltanto per citare i nomi di autori di brani che sono anche inseriti nello spettacolo) e mi sono chiesto, come posso con il teatro riuscire a restituire la stessa dimensione intima, la stessa sincerità? Per avvicinarmi il più possibile a questa forma ho pensato di costruire lo spettacolo come se fossi un cantautore che fa un disco, una sorta di concept album, cercando tra i miei ascolti musicali i brani che meglio rappresentavano quello che volevo comunicare e andando a creare le scene partendo da lì. Lo spettacolo è strutturato in quadri, ogni scena è pensata come se fosse una canzone diversa dell’album, e ciascuna fa riferimento ad un brano musicale che fa da sfondo, spesso, ma ne costituisce anche il nucleo tematico.
C’è una corrispondenza tra il testo recitato e il testo delle canzoni di sottofondo. Cito come esempio una scena in cui il brano “Jesus hates faggots” del cantautore statunitense John Grant – che racconta il disagio di essere un giovane omosessuale in uno sperduto paese della provincia americana, circondato da bigotti – fa da colonna sonora ad un dialogo in dialetto veneto tra due adolescenti a proposito di un coetaneo.
TEMI
Raccontare il disagio di un giovane gay in un paese della provincia veneta è il pretesto per aprire un discorso più ampio sull’identità e sulla libertà individuale, sulla necessità e l’opportunità di adattarsi, e sulla possibilità di trovare altre forme di esistenza oltre a quella dell’adattamento. Oltre a questo lo spettacolo ritrae il territorio e la società dell’alto vicentino, un’area che ha conosciuto uno sviluppo economico impressionante nel secondo dopoguerra, diventando tra le zone più ricche d’Italia, ma che è rimasta ancorata alla mentalità precedente al boom economico. Un mix di tradizione contadina e bigottismo, esacerbato da un fortissimo influsso da parte della Chiesa.